Il 5 e 6 settembre 2009 si è svolto un primo incontro promosso nel nome di Responsabilità Civile. Questa la mia sintesi di quanto era emerso in quell'occasione.
Francesco Cavalli
Roma, 5 e 6 settembre 2009
L'ITALIA, IL MONDO E LA RESPONSABILITA' CIVILE
La preoccupazione per il Mondo, per le tematiche mondiali ci porta all'urgenza Italia. Più ci preoccupiamo di Mondo e più ci rendiamo conto che dobbiamo preoccuparci dell'Italia.
Oggi c'è un allontanamento sempre maggiore dalle tematiche internazionali, dal mondo, per quanto il mondo continui a piombare nel nostro quotidiano sempre di più. Questo porta la società italiana sempre di più a chiudersi, non conosce e per paura si chiude, respinge, erige muri.
La politica non si occupa più del mondo, ha rinunciato a capire e a preoccuparsi del mondo.
Questo genera mancanza di dialogo e forzata semplificazione di ciò che è complesso.
La crisi non è solo della politica, la crisi c'è nella società, nella parte organizzata della società.
Fino ad un po' di anni fa sarebbero state le associazioni, la cosiddetta società civile organizzata, ad incontrarsi per affrontare questa pressante crisi della società. Il fatto che oggi siamo invece qui come liberi cittadini è la cartina di tornasole della crisi sociale stessa.
Da qui il passaggio da società civile organizzata a “responsabilità civile”.
La deriva alla quale stiamo assistendo è anche colpa nostra. Non siamo ciechi e non lo siamo stati, abbiamo però assistito impotenti o scientemente impotenti affinché questo avvenisse. Perché? Perché non ci siamo messi insieme. Perché abbiamo ognuno cercato per conto proprio, con la propria organizzazione, associazione o quant'altro di curare il proprio orto e non ci siamo posti il tema di come insieme avremmo potuto incidere molto di più.
PARTIRE DA CHI FA LE COSE
Si continua a dire delle cose, ad annunciare dei contenuti e delle azioni che poi non si traducono nel fare. Siamo nell'epoca degli annunci disattesi.
Nella società della comunicazione, non è importante cosa fai, ma quello che dici, quello che annunci, a prescindere poi se lo fai o meno.
Quando poi si passa dal dire al fare, il problema diventa come trasformare quel fare in evento mediatico. Il fare stesso è modificato dalla preoccupazione del come comunicarlo, come dire efficacemente quello che si sta facendo. Quasi mai la preoccupazione vera è come rendere efficace l'azione che stai facendo.
Da qui la chiave, partire o meglio ripartire da quella società responsabile che fa. Partire da chi fa delle cose, da chi si occupano davvero delle persone.
Un primo obiettivo è quello di tentare di riconnettere chi ha responsabilità politiche con chi fa delle cose, con chi opera della responsabilità sociale e civile.
I cittadini vogliono essere protagonisti delle scelte. C'è una nuova comunità da ricostruire, un nuovo senso, una nuova idea di comunità.
Non basta più impegnarsi personalmente. Oggi la responsabilità è di trovare al nostro fare uno sbocco politico. L'obiettivo, l'ambizione deve essere quella di modificare i rapporti di forza.
Dobbiamo essere, e lo siamo già, quelli che fanno dicendo. Che partono dal fare delle cose, ma che non rinunciano al dire e al dirlo politicamente. È un fare che nel terzo settore largamente inteso ha messo in atto in realtà una fantasia articolata e molto bella.
Di questo fare c'è stata nell'ultimo ventennio un grande strada percorsa. Ma si è rinunciato all'incisività politica. Responsabilità Civile come trasformazione di questo fare, frutto di senso di responsabilità assunta, in incisività politica sociale e civile appunto. Che questa moltitudine di persone che fanno e che sono società civile responsabile passano diventare partecipazione politica che incide.
Responsabilità che diventa allora stile e metodo ma che è in sé anche proposta. Ci sono molte altre persone in Italia con le quali è possibile fare un percorso insieme. È necessario allargare questa base con le tante persone di buona volontà che ci sono sparse per tutto il paese. C'è un'Italia intera di dinamismo sociale vero, questa è la speranza per il futuro.
LA CHIAVE CULTURALE
La crisi culturale è ben pensata. Non è una fatale conseguenza di un'evoluzione incontrollata del sistema di comunicazione di massa dove la televisione ha giocato e continua a giocare il ruolo determinante. La deriva cultural-mediatica è il substrato più efficace sul quale funziona il nuovo fascismo. L'individualismo, il successo personale, l'arrivismo, i soldi a tutti i costi, questo sistema cultural-mediatico era ed è incompatibile con il pensiero cattolico, peccato che per 20anni abbia imperversato senza che non se ne accorgesse.
La sinistra sembra non avere la forza di contrapporre un'alternativa di valori.
Manca una cultura forte e diversa dalla massificazione mediatica ed individualista.
Anche l'informazione deve sempre essere presa nella funzionalità culturale che ha. Spesso l'informazione è funzionale a questo progetto politico culturale.
C'è anche un legame diretto fra la deriva culturale e l'economia. Invece che investire nella ricerca e nella crescita sociale basata su un vero progresso per tutti, si è puntato all'investimento nella direzione dell'economia dell'individualismo dove chi ce la fa bene e chi non ce la fa sta fuori.
Se questa è la situazione di crisi Culturale, quindi sociale, quindi politica, anche le diverse espressioni di società civile organizzata, dai sindacati alle associazioni e le diverse altre strutture sociali ed economiche vivono questa crisi, queste contraddizioni al loro interno.
LA SFIDA EDUCATIVA
La chiave è nella comunità nell'idea di comunità. Qui c'è tutta la sfida educativa e la priorità dell'educazione, della scuola.
Nei confronti delle giovani generazioni, dobbiamo porci il tema della cultura nella quale sono cresciuti, quali sono i riferimenti con i quali sono cresciuti. La preoccupazione allora è dare dei riferimenti altri. Recuperare riferimenti per gli adulti, per i giovani è proporre riferimenti valoriali nuovi. La riflessione sui valori è il punto di partenza. La scuola come vera palestra di vita, di democrazia.
Oggi la cultura dominante è quella di “Amici”. A questa l'alternativa unica possibile è una scuola vera palestra di cultura.
L'esempio non vale più, la coerenza non vale più perché il peso degli annunci comunicativi rivoluzione tutto il modo di concepire la politica e la società.
REGOLE CHIARE E PROPOSTE ALTERNATIVE
Se non ci sono regole di partecipazione democratica chiare ed incisive, a partire dalle nostre strutture, rischiamo anche noi di cadere nei discorsi belli, negli annunci belli, ma non ottenere risultati efficaci.
Non è più possibile la critica e la contestazione per quanto sacrosanta, ma senza proposte vere possibili. Dobbiamo sostituire le denunce e le critiche con le proposte alternative.
I bisogni devono essere trasformati in diritti da rivendicare. Se non viene orientata questa esigenza di critica e contestazione, il rischio è di sfociare nella violenza.
Cambiare l'agenda è la questione fondamentale. Il problema dell'agenda politica è il problema. Oggi la politica rincorre l'agenda imposta esterna a sé invece che dettare l'agenda essa stessa.
La disaffezione alla politica - per alcuni - è anche la conseguenza del fatto che alcuni amici di politica del passato hanno usato l'idealità politica per percorsi personali rinunciando poi al mantenere fedeltà ai rapporti e ai percorsi originari.
ELABORAZIONE PROPOSTE
1. Mettere insieme
C'è tanta gente in gamba in Italia oggi. Tante persone che conosciamo e fanno. Dobbiamo cercare di mettere insieme quanto più possibile le tante persone di buona politica che conosciamo, che ci sono. Qual è il contributo che questa società civile organizzata e responsabile può dare oggi davvero alla politica?
Allargare il coinvolgimento con il contatto personale ricordandoci che quella che abbiamo da offrire è una proposta di partecipazione non di adesione.
Per fare questo dobbiamo attivarci per un lavoro nei territori. Proporre anche piccoli incontri che mettano insieme più persone nei singoli territori.
Non dimentichiamoci che anche altri, per fortuna, diversi altri stanno facendo delle altre strade importanti.
Dobbiamo trovare interlocutori politici affidabili con i quali fare un lavoro.
2. Lavorare sul NOI
Il NOI che stiamo usando di fatto ancora non esiste. Dobbiamo come prima cosa lavorare sul NOI. Ciascuno sa che cosa crede e verso cosa vuole camminare, ma non abbiamo ancora lavorato su di una base forte condivisa. Come prima cosa per avere poi forza nel percorso dobbiamo dare forza ed identità di contenuti e proposte a questo NOI.
Dobbiamo diventare un gruppo di pressione, innanzitutto nei confronti dei cittadini prima ancora che nei confronti della politica.
Il come darci delle regole di gestione di Responsabilità Civile diventa già una proposta di un modo di far politica.
3. Laboratorio
Essere un laboratorio o stanza di compensazione dove ci si confronta e si fa elaborazione politica vera portando poi i frutti negli ambiti politici di vita quotidiana, chi nelle associazioni, chi nei partiti, chi nel lavoro e nell'economia. Aiutiamoci a pensare "nuovo" senza sostituirsi ai partiti politici.
Il laboratorio è anche lo strumento per discutere ed elaborare l'Italia che vogliamo.
4. L'Italia che vogliamo
Per una nuova idea di politica, di partecipazione, di democrazia, dobbiamo come prima cosa delineare il "come" intendiamo Responsabilità Civile affinché questo "come" possa essere già un parlare e un rappresentare operativamente la politica che vogliamo, quella che intendiamo fare, l'Italia che vogliamo.
È emersa più volte la necessità di partire da una carta, un primo documento di riferimento, che abbia da un a parte l'ambizione di iniziare a delineare l'Italia che vogliamo, dall'altra la concretezza di partire da alcuni punti precisi e non dallo scibile umano.
Temi da dove partire: diritti umani e immigrazione, sfida culturale, scuola ed educazione, economia e lavoro, mondo, pace e cooperazione.
Nessun commento:
Posta un commento