documenti

* APPELLO
dopo l'incontro di Roma del 6 e 7 marzo 2010


* Sintesi delle proposte emerse

Per problemi organizzativi Responsabilità Civile non sarà a Firenze a Terra Futura.
Presto il prossimo appuntamento.


domenica 28 febbraio 2010

ESSERE O NON ESSERE

La politica è un pozzo inquinato abbiamo bisogno di sorgenti di acqua pura che alimentino torrenti e fiumi di linfa viva, spumeggiante, in grado ridare speranza e prospettiva.

Parole sferzanti quelle di don Ciotti.

I partiti sono allo sbando, indifferenti, disinteressati del bene comune.

Latitanti, smarriti, incapaci di idealizzare, progettare, costruire un futuro possibile a fronte della grave situazione in cui ci troviamo.

Alla ricerca di un equilibrio improbabile hanno paura di schierarsi, di dichiarare da quale parte stanno con l’agenda politica dettata dai mezzi di comunicazione guidati ed indirizzati da quella politica torva, grigia, sommersa, connivente, interessata a difendere l’interesse di pochi.

Il degrado sociale, culturale, ambientale delle nostre Città, del nostro Paese è sotto gli occhi di tutti.

Illusi nella propria autoreferenzialità, cercano di galleggiare, di conservare e mantenere posizioni e privilegi acquisiti, senza la prospettiva di un pensiero alto, senza la prospettiva di un futuro per tutti.

Con questa ottica si può solo arretrare, indietreggiare, retrocedere, perdere.

Il riflesso lo troviamo nel nostro quotidiano: inerzia, indifferenza, neutralità, silenzio di fronte alle ingiustizie, interesse personale, …, fanno da padroni.

Dobbiamo reagire.
Serve un cambio culturale. È urgente.

In questa clima di delegittimazione, con questo orizzonte, aumentano, volenti o nolenti, le responsabilità dei governi locali. Gli Enti Locali hanno la responsabilità di dare l’esempio, di farsi carico delle proprie comunità.
Una rivoluzione positiva capace di contagiare, a partire dalle nostre città, il governo del nostro Paese. Una sorta di domino positivo.

Dobbiamo uscire dall’io per passare al noi, dall’interesse personale a quello collettivo.
Oggi più che mai.

Esempio eclatante ed emblematico di questo contesto è la Pace.

La pace non è più di moda.

Per questo motivo o con la scusa delle ristrettezze economiche viene cancellata dalla politica, dai programmi, dalle iniziative. La pace è vissuta come qualcosa di lontano per cui, anche se taglio le risorse, nessuno si lamenta.

Al contrario è proprio la Pace, nella sua accezione più ampia, il modo per scegliere un altro modo di agire, vicino alla gente, ai problemi reali, all’ambiente.

Scegliere la Pace significa iniziare a scegliere la pace nelle nostre città, nelle nostre relazioni ed azioni quotidiane.

Ecco allora alcune tracce per iniziare a lavorare insieme.
  1. Nelle nostre città pace si coniuga con giustizia sociale. Dobbiamo lavorare per ricostruire le nostre Comunità, comunità che includano e non escludano, che sappiano farsi carico dei più deboli, che abbiano a cuore l’ambiente in cui vivono.
  2. Pace con la nostra gente costruendo veri percorsi d’integrazione. Gli immigrati sono considerati solo dei diversi e non si considera che sono anche uguali. Dobbiamo partire dalle similitudini, dalle cose che ci accomunano per scoprire le differenze capaci di rispettare reciprocamente cultura e costumi.
  3. Pace con territorio che ci accoglie, consapevoli che scegliendo l’ambiente si costruisce giustizia sociale. Le facili scorciatoie nelle politiche energetiche, dell’acqua, del clima, del territorio, …, portano diseguaglianza e danni spesso irreversibili.
  4. Pace nella vita amministrativa è trasparenza, equità, qualità negli appalti, nei servizi, nelle delibere, nelle azioni quotidiane.
Ma questo è solo l’inizio, dobbiamo riappropriarci della comunicazione. L’informazione viene vissuta come pericolo per cui temi quali: ambiente, sanità, lavoro, immigrazione, sicurezza, …, sono cancellati o, peggio, comunicati al servizio del padrone.

Dobbiamo diffondere la buona notizia, i percorsi possibili ma anche le difficoltà avendo cura di offrire una prospettiva possibile.

La domanda è con chi, come e quando iniziare questo percorso. Come connettere donne e uomini di buona volontà, buone prassi nella costruzione di una rete, di un sistema che aiuti a non essere isolati ma diventare forza di cambiamento, uno tsunami in grado di azzerare il modo imperante di fare politica.

Non è facile ma, oggi più che mai, bisogna scegliere se …
… essere o non essere.

Mario Galasso

mercoledì 24 febbraio 2010

Responsabilità Civile
Roma, 6 e 7 marzo
PROGRAMMA

Crisi della politica: quali sono le nostre responsabilità?
Cosa deve fare chi, tutti i giorni, s’impegna a costruire un paese e un mondo migliore?

PROGRAMMA LAVORI
ROMA 6 / 7 MARZO 2010

sabato mattina → (h. 10/13.30)
prima sessione
domande
intervento di uno dei firmatari - introduce le domande
intervento di sintesi del dibattito dal blog
modera Elisa Marincola
primo intervento preparato Roberto Morrione
interventi a seguire

pranzo insieme

sabato pomeriggio → (h. 15/20)
seconda sessione proposte
che cosa può fare la società civile
per costruire una nuova politica
breve introduzione del moderatore Flavio Lotti
interventi

domenica mattina → (h. 9.30-13)
terza sessione
prospettiva e percorso
presentazione sintesi della giornata del sabato
modera Luciano Scalettari
interventi di prospettiva
conclusione sul lavoro

Legge elettorale, nelle mani dei “capetti”: che senso ha votare?

Non c’è dubbio, parlare di riforma elettorale di questi giorni suona démodé. O forse è semplicemente stanchezza. Dopo due referendum elettorali (più uno fallito) e due riforme in meno di vent’anni, ci ritroviamo con il peggio di due sistemi e un Parlamento caduto in disistima. Tutti concordano, i parlamentari sono troppi, vanno pagati meno. L’unica riforma su cui tutti sono d’accordo è di ridurne il numero. Bene. Ma per fare che? Pochi si ricordano a che serve e cosa rappresenta il Parlamento. All’appello di Riccardo Lenzi di discutere di riforme vere, quelle che i cittadini vogliono, vorrei rispondere parlando di riforma elettorale. A mio avviso questa è la riforma più urgente di tutte, per mettere in sicurezza la democrazia. La disistima in cui è caduto il Parlamento è funzionale al progetto populista di Berlusconi.

L’attuale legge elettorale, immortalata dal suo stesso autore come solenne “porcata”, fu fatta per fare piacere ai capi partito, tutti — senza tenere in nessun conto la volontà degli elettori.

Ho partecipato ad un’elezione, la prima, quella del 2006, con le regole vigenti, e ho deciso che sarebbe stata l’ultima. È un sistema nato per illudere i capi e i capetti di partiti esangui che, avendo il potere di nominare i componenti del Parlamento, contino ancora per qualcosa nel paese. Il disastro era annunciato e anche palpabile, dal momento della formazione delle liste. Al momento del voto per il cambio di sistema elettorale era scesa una cappa di complicità traversale, nonostante lo sconcerto in Europa. Cambiare le regole del gioco a poche settimane dal voto, come stava facendo l’allora governo Berlusconi, era un’operazione degna di una repubblica caucasica. Ma Berlusconi e i suoi alleati erano sicuri di perdere con il sistema maggioritario allora vigente, e lo cambiarono, senza girarci troppo intorno. Non mi sono mai capacitata della facilità con cui ci riuscirono. La “porcata” di Calderoli passò alla Camera in soli tre giorni.

Il vecchio sistema elettorale, il tanto deprecato ‘mattarellum’, era stato il risultato di una battaglia referendaria fatta nel nome del rinnovamento. Quella promessa, però, non fu onorata. Anche con il maggioritario i partiti continuarono a spartirsi le candidature. Anzi, con la scusa della coalizione, saltarono i meccanismi, ormai residuali, di partecipazione democratica alla selezione dei candidati all’interno dei partiti. Le primarie non furono mai seriamente contemplate, e anche gli elettori si rassegnarono. E qualcuno, aggiungo, se ne approfittò. Nonostante i suoi difetti, quella legge elettorale aveva il pregio di obbligare i partiti a scegliere candidati con spessore sufficiente per sostenere una battaglia in testa a testa sul territorio. Gli elettori, a loro volta, sapevano chi avevano eletto e a chi chiedere conto.

Durante l’ultimo breve governo Prodi ci fu una discussione sulla riforma elettorale appena abbozzata, con scarsi risultati. Tutti i partiti, senza eccezione, si rivelarono incapaci di contemplare un altro orizzonte che non il proprio, piccolo tornaconto. Nessuno, nemmeno i piccoli partiti della sinistra Arcobaleno, ebbe il coraggio di affrontare le successive elezioni, anche quelle europee, con candidati scelti con metodo trasparente e partecipato. Un campo di macerie, non c’è che dire. Difficile, in questo contesto, sapere da dove ripartire.

In mancanza d’altro suggerisco di partire dalle parole di Casini, unico leader, a quanto mi risulta, a parlare di riforma elettorale di questi tempi. Quello che Casini chiede (lo ha fatto di nuovo durante la sua recente apparizione a Che Tempo che Fa) è il sistema elettorale tedesco. Sappiamo perché lo fa: vuole un sistema che faciliti il suo disegno strategico, la costituzione di un blocco di centro, guidato dal suo partito, indispensabile a qualsiasi coalizione di governo. Né più né meno della buona vecchia politica dei due forni cara ai centristi della prima Repubblica. Al punto in cui siamo arrivati, con la legittimazione del razzismo al governo e lo Stato e le sue istituzioni piegati agli interessi privati del presidente del Consiglio, un ritorno alla corruttela vellutata della prima Repubblica potrebbe anche apparire una prospettiva consolante. Ma non facciamoci impressionare. Suggerisco di prendere Casini in parola. Vada, dunque, per il sistema elettorale tedesco. A patto, però, di prenderlo tale e quale, così come viene attuato in Germania.

L’unico aggiustamento che proporrei al sistema elettorale vigente in quel paese è una piccola modifica per evitare un imprevisto che da loro viene accettato: il numero di parlamentari può variare di volta in volta, secondo il risultato del voto. Un’eventualità esclusa dalla Costituzione italiana che fissa per legge il numero dei membri delle due camere.

Per il resto il sistema elettorale tedesco andrebbe più che bene. La Costituzione tedesca, come la nostra, fu scritta sulle macerie della seconda guerra mondiale, con lo stesso desiderio di ritrovare nella democrazia e nello stato di diritto i migliori anticorpi alle derive totalitarie che avevano portato quel paese al baratro del nazismo, così come la nostra Costituzione fu pensata in risposta al disastro speculare del fascismo. A differenza di quella italiana, invece, la Costituzione tedesca è la legge fondamentale di uno Stato federale, con istituzioni e contrappesi pensate per garantire le autonomie, senza mettere a rischio l’unità. Anche per questo, di fronte alle spinte disgregative in atto in Italia, guardo con interesse al modello tedesco.

Così come la legge italiana, il sistema elettorale tedesco non è stato costituzionalizzato; la legge vigente potrebbe, dunque, venire cambiata con legge ordinaria. Il fatto che nessuno si è sognato di farlo per più di cinquant’anni ne dimostra la perdurante validità. La legge fu scritta nel 1956, agli albori della nuova Bundeswehr , in uno di quegli rari momenti della storia degli Stati in cui i legislatori non sono ostacolati dal peso dell’interesse di parte: nessuno aveva ancora ben chiaro quale sistema lo avrebbe favorito a scapito dell’altro. Il risultato è un sistema che equilibra mirabilmente, a mio avviso, il principio democratico di rappresentatività con l’esigenza della governabilità. È un sistema proporzionale, con due importanti correttivi: una clausola di sbarramento del cinque per cento, mitigato, a sua volta, dalla possibilità di voto per candidati nel collegio uninominale, un’opzione che può portare all’elezione di parlamentari i cui partiti non abbiano raggiunto il quorum a livello nazionale. Fu grazie a questo sistema, per esempio, che i candidati più forti dei Verdi trascinarono il proprio partito nel Bundestag, ancora prima di raggiungere la soglia del 5%. La possibilità del voto del candidato nel collegio uninominale ha l’altro indubbio vantaggio di consentire un rapporto diretto tra elettore ed eletto.

Ma la legge vigente in Germania porterebbe un’altra sacrosanta innovazione alla nostra democrazia asfittica: per accedere ai rimborsi elettorali in quel paese i candidati alle elezioni devono essere scelti attraverso un processo pubblico e partecipato.

Quanto basta, mi sembra, per dare ragione a Casini. Ben venga, dunque, il sistema elettorale tedesco. Un sistema che nessun partito, per quanto piccolo, dovrebbe temere, se ha il coraggio delle proprie idee. Ma per mantenere la propria validità non può essere adottato in parte: o tutto, primarie comprese, o niente.

TANA DE ZULUETA

Cambiamo la politica da dentro.

Io continuo a credere nell'impegno politico ed in particolare nel PD. Sono convintissimo che molto è stato sbagliato e moltissimo andrebbe cambiato ma non sono assolutamente d'accordo sul fatto che siano i partiti a snobbare la società civile.

Secondo me è vero il contrario.

Certo io che mi ritengo molto "civile" e mi sento parte appieno della società capisco chi si è scocciato e disamorato. Io ho fatto una scelta diversa e continuo a lottare all'interno dei Partiti x cercare di cambiare la società rendendola maggiormente sensibile all'attenzione agli ultimi, ovunque essi siano e quindi più "civile". Non ci riuscirò, lo so già ma testardamente continuo a provarci e francamente inviterei gli esponenti della società civile a fare una scelta differente: entrate nei partiti e contribuite a cambiarli, non lasciate solo chi come me già ci prova! La mia grossa paura è che "chiamandoci fuori" lasceremmo la mano libera ai Casini (gosh) ai Berlusconi (doppio gosh) e agli Emanuele Filiberto (triplo gosh)! Guardate che come nello studio, piuttosto che nelle associazioni, nei posti di lavoro, ecc anche in politica è vero che ci sono i figli di papà, i predestinati e gli utili idioti, ma chi ha voglia di fare e chi fa (e noi rientriamo in entrambe le categorie) alla fine riesce sempre a dire la sua. Ricordiamoci che non facendo politica e non votando spianiamo la strada alle categorie di cui sopra che sono lì, ci guardano e sogghignano.


GIORGIO BASTI

martedì 23 febbraio 2010

L'Italia e la Responsabilità Civile

Il 5 e 6 settembre 2009 si è svolto un primo incontro promosso nel nome di Responsabilità Civile. Questa la mia sintesi di quanto era emerso in quell'occasione.

Francesco Cavalli


Roma, 5 e 6 settembre 2009

L'ITALIA, IL MONDO E LA RESPONSABILITA' CIVILE
La preoccupazione per il Mondo, per le tematiche mondiali ci porta all'urgenza Italia. Più ci preoccupiamo di Mondo e più ci rendiamo conto che dobbiamo preoccuparci dell'Italia.
Oggi c'è un allontanamento sempre maggiore dalle tematiche internazionali, dal mondo, per quanto il mondo continui a piombare nel nostro quotidiano sempre di più. Questo porta la società italiana sempre di più a chiudersi, non conosce e per paura si chiude, respinge, erige muri.
La politica non si occupa più del mondo, ha rinunciato a capire e a preoccuparsi del mondo.
Questo genera mancanza di dialogo e forzata semplificazione di ciò che è complesso.

La crisi non è solo della politica, la crisi c'è nella società, nella parte organizzata della società.
Fino ad un po' di anni fa sarebbero state le associazioni, la cosiddetta società civile organizzata, ad incontrarsi per affrontare questa pressante crisi della società. Il fatto che oggi siamo invece qui come liberi cittadini è la cartina di tornasole della crisi sociale stessa.
Da qui il passaggio da società civile organizzata a “responsabilità civile”.

La deriva alla quale stiamo assistendo è anche colpa nostra. Non siamo ciechi e non lo siamo stati, abbiamo però assistito impotenti o scientemente impotenti affinché questo avvenisse. Perché? Perché non ci siamo messi insieme. Perché abbiamo ognuno cercato per conto proprio, con la propria organizzazione, associazione o quant'altro di curare il proprio orto e non ci siamo posti il tema di come insieme avremmo potuto incidere molto di più.


PARTIRE DA CHI FA LE COSE
Si continua a dire delle cose, ad annunciare dei contenuti e delle azioni che poi non si traducono nel fare. Siamo nell'epoca degli annunci disattesi.
Nella società della comunicazione, non è importante cosa fai, ma quello che dici, quello che annunci, a prescindere poi se lo fai o meno.
Quando poi si passa dal dire al fare, il problema diventa come trasformare quel fare in evento mediatico. Il fare stesso è modificato dalla preoccupazione del come comunicarlo, come dire efficacemente quello che si sta facendo. Quasi mai la preoccupazione vera è come rendere efficace l'azione che stai facendo.
Da qui la chiave, partire o meglio ripartire da quella società responsabile che fa. Partire da chi fa delle cose, da chi si occupano davvero delle persone.
Un primo obiettivo è quello di tentare di riconnettere chi ha responsabilità politiche con chi fa delle cose, con chi opera della responsabilità sociale e civile.

I cittadini vogliono essere protagonisti delle scelte. C'è una nuova comunità da ricostruire, un nuovo senso, una nuova idea di comunità.
Non basta più impegnarsi personalmente. Oggi la responsabilità è di trovare al nostro fare uno sbocco politico. L'obiettivo, l'ambizione deve essere quella di modificare i rapporti di forza.
Dobbiamo essere, e lo siamo già, quelli che fanno dicendo. Che partono dal fare delle cose, ma che non rinunciano al dire e al dirlo politicamente. È un fare che nel terzo settore largamente inteso ha messo in atto in realtà una fantasia articolata e molto bella.
Di questo fare c'è stata nell'ultimo ventennio un grande strada percorsa. Ma si è rinunciato all'incisività politica. Responsabilità Civile come trasformazione di questo fare, frutto di senso di responsabilità assunta, in incisività politica sociale e civile appunto. Che questa moltitudine di persone che fanno e che sono società civile responsabile passano diventare partecipazione politica che incide.
Responsabilità che diventa allora stile e metodo ma che è in sé anche proposta. Ci sono molte altre persone in Italia con le quali è possibile fare un percorso insieme. È necessario allargare questa base con le tante persone di buona volontà che ci sono sparse per tutto il paese. C'è un'Italia intera di dinamismo sociale vero, questa è la speranza per il futuro.


LA CHIAVE CULTURALE
La crisi culturale è ben pensata. Non è una fatale conseguenza di un'evoluzione incontrollata del sistema di comunicazione di massa dove la televisione ha giocato e continua a giocare il ruolo determinante. La deriva cultural-mediatica è il substrato più efficace sul quale funziona il nuovo fascismo. L'individualismo, il successo personale, l'arrivismo, i soldi a tutti i costi, questo sistema cultural-mediatico era ed è incompatibile con il pensiero cattolico, peccato che per 20anni abbia imperversato senza che non se ne accorgesse.
La sinistra sembra non avere la forza di contrapporre un'alternativa di valori.
Manca una cultura forte e diversa dalla massificazione mediatica ed individualista.
Anche l'informazione deve sempre essere presa nella funzionalità culturale che ha. Spesso l'informazione è funzionale a questo progetto politico culturale.
C'è anche un legame diretto fra la deriva culturale e l'economia. Invece che investire nella ricerca e nella crescita sociale basata su un vero progresso per tutti, si è puntato all'investimento nella direzione dell'economia dell'individualismo dove chi ce la fa bene e chi non ce la fa sta fuori.
Se questa è la situazione di crisi Culturale, quindi sociale, quindi politica, anche le diverse espressioni di società civile organizzata, dai sindacati alle associazioni e le diverse altre strutture sociali ed economiche vivono questa crisi, queste contraddizioni al loro interno.


LA SFIDA EDUCATIVA
La chiave è nella comunità nell'idea di comunità. Qui c'è tutta la sfida educativa e la priorità dell'educazione, della scuola.
Nei confronti delle giovani generazioni, dobbiamo porci il tema della cultura nella quale sono cresciuti, quali sono i riferimenti con i quali sono cresciuti. La preoccupazione allora è dare dei riferimenti altri. Recuperare riferimenti per gli adulti, per i giovani è proporre riferimenti valoriali nuovi. La riflessione sui valori è il punto di partenza. La scuola come vera palestra di vita, di democrazia.
Oggi la cultura dominante è quella di “Amici”. A questa l'alternativa unica possibile è una scuola vera palestra di cultura.
L'esempio non vale più, la coerenza non vale più perché il peso degli annunci comunicativi rivoluzione tutto il modo di concepire la politica e la società.


REGOLE CHIARE E PROPOSTE ALTERNATIVE
Se non ci sono regole di partecipazione democratica chiare ed incisive, a partire dalle nostre strutture, rischiamo anche noi di cadere nei discorsi belli, negli annunci belli, ma non ottenere risultati efficaci.
Non è più possibile la critica e la contestazione per quanto sacrosanta, ma senza proposte vere possibili. Dobbiamo sostituire le denunce e le critiche con le proposte alternative.
I bisogni devono essere trasformati in diritti da rivendicare. Se non viene orientata questa esigenza di critica e contestazione, il rischio è di sfociare nella violenza.

Cambiare l'agenda è la questione fondamentale. Il problema dell'agenda politica è il problema. Oggi la politica rincorre l'agenda imposta esterna a sé invece che dettare l'agenda essa stessa.

La disaffezione alla politica - per alcuni - è anche la conseguenza del fatto che alcuni amici di politica del passato hanno usato l'idealità politica per percorsi personali rinunciando poi al mantenere fedeltà ai rapporti e ai percorsi originari.


ELABORAZIONE PROPOSTE
1. Mettere insieme
C'è tanta gente in gamba in Italia oggi. Tante persone che conosciamo e fanno. Dobbiamo cercare di mettere insieme quanto più possibile le tante persone di buona politica che conosciamo, che ci sono. Qual è il contributo che questa società civile organizzata e responsabile può dare oggi davvero alla politica?
Allargare il coinvolgimento con il contatto personale ricordandoci che quella che abbiamo da offrire è una proposta di partecipazione non di adesione.
Per fare questo dobbiamo attivarci per un lavoro nei territori. Proporre anche piccoli incontri che mettano insieme più persone nei singoli territori.
Non dimentichiamoci che anche altri, per fortuna, diversi altri stanno facendo delle altre strade importanti.
Dobbiamo trovare interlocutori politici affidabili con i quali fare un lavoro.
2. Lavorare sul NOI
Il NOI che stiamo usando di fatto ancora non esiste. Dobbiamo come prima cosa lavorare sul NOI. Ciascuno sa che cosa crede e verso cosa vuole camminare, ma non abbiamo ancora lavorato su di una base forte condivisa. Come prima cosa per avere poi forza nel percorso dobbiamo dare forza ed identità di contenuti e proposte a questo NOI.
Dobbiamo diventare un gruppo di pressione, innanzitutto nei confronti dei cittadini prima ancora che nei confronti della politica.
Il come darci delle regole di gestione di Responsabilità Civile diventa già una proposta di un modo di far politica.
3. Laboratorio
Essere un laboratorio o stanza di compensazione dove ci si confronta e si fa elaborazione politica vera portando poi i frutti negli ambiti politici di vita quotidiana, chi nelle associazioni, chi nei partiti, chi nel lavoro e nell'economia. Aiutiamoci a pensare "nuovo" senza sostituirsi ai partiti politici.
Il laboratorio è anche lo strumento per discutere ed elaborare l'Italia che vogliamo.
4. L'Italia che vogliamo
Per una nuova idea di politica, di partecipazione, di democrazia, dobbiamo come prima cosa delineare il "come" intendiamo Responsabilità Civile affinché questo "come" possa essere già un parlare e un rappresentare operativamente la politica che vogliamo, quella che intendiamo fare, l'Italia che vogliamo.
È emersa più volte la necessità di partire da una carta, un primo documento di riferimento, che abbia da un a parte l'ambizione di iniziare a delineare l'Italia che vogliamo, dall'altra la concretezza di partire da alcuni punti precisi e non dallo scibile umano.
Temi da dove partire: diritti umani e immigrazione, sfida culturale, scuola ed educazione, economia e lavoro, mondo, pace e cooperazione.

lunedì 1 febbraio 2010

Responsabilità Civile
il 6 e 7 marzo a Roma.

Crisi della politica: quali sono le nostre responsabilità?
Cosa deve fare chi, tutti i giorni, s’impegna a costruire un paese e un mondo migliore?


Incontriamoci e parliamone il 6 e 7 marzo 2010 a Roma.

SCHEDA D'ISCRIZIONE