Cari tutti
Rispondo con questa lettera sulla richiesta di firmare il documento, che per il momento non firmerò. Non perché non potrei sottoscrivere, potrei perché di base sono d’accordo, ma perché sono in dubbio su che gruppo siamo, chi vogliamo essere. Non ho l’idea di avere realmente conosciuto le persone in questi due weekend (c’erano anche molte persone nuove questa volta) e non ho l’idea di sapere cosa significa per tanti che sottoscrivano questo documento in concreto. E come ho detto domenica mattina, credo che si rischia la superficialità, se non si approfondisce quello che c’è scritto nel documento. Che impegni prenderemo? Che impegno prendo io sottoscrivendo? Non sono una politicante. Sono una persona che agisce con il corpo, con il tutto il mio essere, che cerca con il lavoro di teatro reportage di sensibilizzare, dalla persona che va al mercato, gli studenti delle scuole ed università, pubblico di teatro, ai politicanti, chi fa le leggi, parlamentari, italiani, europei… Dare voce a chi non ce l’ha, rifugiato, donna del medi oriente, chi vive la povertà, l’illegale e così via…
Vengo da una educazione e un studio molto particolare. In quei tempi la mia accademia era un collettivo. E abbiamo cercato di decidere, di portare avanti una accademia per insegnanti dramma (per i studenti uno studio di 4 a 6 anni dopo le superiori) in modo veramente democratico. Dividendo le responsabilità in gruppi di lavoro che andava da prendersi cura del palazzo, fare un programma per i turni del custode del giorno (sempre uno di noi, insegnante o studente), la rappresentanza su livello nazionale legato a incontri con governo, richiesta di riconoscimento dell’accademia, al creare il programma di studio, prendersi cura dell’amministrazione, trovare i soldi per esistere come accademia in quei tempi non riconosciuta (adesso si, e il mio diploma è diventato statale!). Per decidere i diversi gruppi di lavoro portavano le loro proposte in una plenaria settimanale e si votava tutto le proposte. Per le proposte importanti veniva votato il voto unitario, se accettato, una persona poteva fermare tutto. Non sempre per le decisioni di grande importanza sembrava democratico che la maggioranza decideva. Si rischiava in quei momenti che la minoranza non sentisse più che questa accademia era loro, rappresentava loro. Così è successo in una plenaria, dove si parlava di una tendenza anarchista (un gruppo dell’accademia in una ricerca e improvvisazione teatrale, si era improvvisata terrorista, era andata in città e aveva buttato le bombe di pittura contro le banche). In quel momento si è proposta la chiusura dell’accademia e si ha votato l’unanità. Una persona voleva chiudere l'accademia in tutti modi dicendo che in questa accademia si doveva prendere tutte le responsabilità, quella individuale, quella collettiva e quella della società (era un norma di base dell’accademia). Quella rispetto alla società in quella improvvisazione era sparita. Alla fine si era tutti d’accordo sulle responsabilità su tutti livelli e l’accademia andava avanti. Ma era un momento che abbiamo discusso fino tardi notte, senza sapere se il giorno dopo l’accademia ci sarebbe ancora stato. Naturalmente si parlava anche di cose molto più regolari nelle riunioni, che venivano preparato, moderato e tutto veniva scritto, ogni voto, ogni decisione nel libro plenaria (non c’erano ancora i computer).
Il fatto è che una volta alla settimana si decideva su qualunque cosa con un voto e a volte era anche stancante, ma credo che a tutti noi di quel tempo ha insegnato di gestire una accademia, guidare delle riunione e a non solo fare artisti, teatranti ma saper anche organizzare, scrivere progetti e così via e che si è sentito che l’accademia era veramente nostra.
Chiaro era che chi aveva iniziata questa esperienza, chi aveva anni di esperienza di lavoro, portava le sue esperienze, la sua visione, ma qualunque cosa che andava deciso si votava, e non era automatico che si seguiva solo queste persone.
Nella situazione della responsabilità civile non dico che dovrà andare tutto in quel modo, che dovremo essere un collettivo ma vorrei sentire che realmente tutti sentono che quel documento è NOSTRO. Per questo secondo me si deve approfondire, avere i momenti che si possa discutere in piccoli gruppi su argomenti diversi, o sul documento e portare conclusioni. Mi manca, anche se ci sono stati tante testimonianze, la partecipazione, le decisioni dove si sente che includono le cose che le persone dicono.
E per me, per Annet, realmente se vogliamo fare una nuova politica, dobbiamo iniziare con un cambiamento dentro di noi. Perché siamo corresponsabili che adesso c’è la politica che c’é. Mi chiedo veramente, e credo che sarebbe la domanda iniziale, cosa abbiamo sbagliato NOI, che cosa ho sbagliato io, che sia andato come è andato. Perché se non vediamo gli errori dentro di noi, come ci possiamo aspettare che qualcosa cambia. In questo gruppo sento accanto alla buona volontà, le abitudini di una politica che non ha funzionato. E sento che è quasi impossibile mettersi in discussione, mettere il proprio agire e modo di fare in discussione. E’ molto più facile indicare i colpevoli fuori del gruppo, analizzare tutto tranne noi stessi. Infatti credo che si cerca di evitare eventuali conflitti e di coprire questo con un senso di insieme che non è (ancora) completamente realizzato.
Quello che mi ha scioccato è stato la fine della mattinata di domenica. Non mi aspetto una tale reazione su un dubbio di qualcuno, l’insicurezza sul nome. Una domanda e dubbio che era già venuto fuori altre volte, anche da altre persone e che è sempre stata lasciata in mezzo. Si poteva reagire in tanti modi, su questo dubbio, tipo ci penseremo la prossima volta di discuterne. Non capisco l’aggressione che c’è stato. Le insicurezze i dubbi delle persone vanno preso sul serio secondo me. Se no, sembra che si cerca di mettere davanti le proprie idee, trovando quelli degli altri disturbanti. Quando ho detto per favore troviamo un altro nome per buone pratiche, ho sentito che era disturbante e nessuno ha chiesto perché? Avevo delle ragioni, sono stata in diversi incontri in parlamento europeo sulle buone pratiche, e alla fine queste buone pratiche erano ragionamenti, non sempre onesti, mostrando una parziale verità, per avere soldi per progetti europei. Per questo non mi piace nominarle così. Poi si può decidere che non è importante, che si usa quella parola in accordo e le persone, incluso me ne saranno contente, perché sono state sentite e c'è stato un ragionament sopra. Ho sentito diverse persone che sono scontente di come si sono svolte le giornate. Spero che si prenderanno la responsabilità di dare la loro testimonianza su questo in modo che possa influenzare il lavoro positivamente.
Io ho voluto dare i miei pensieri rispetto a questo. Ne potremo discutere. Io sento che il mio lavoro di teatro reportage è la mia forza e non so quanto la politica lo è. Credo che serve anche nella politica di sentire le voci non sentite ed io tramite il lavoro, come attrice e regista che porta in scena, in piazza, in sala conferenze direttamente le voci non sentite. Per me devo decidere cosa fare. Non lo so ancora se vorrò venire la prossima volta. Credo che mi imporrò di venire per vedere se le reazioni che ci sono state, influenzano il modo nel quale si continua.
Io non sono politicante, ma mi sono incontrata con tante realtà politiche e credo cambiare la politica sia un lavoro enorme, giornaliera, faticante, rischioso. Sarei contenta che ci si riuscisse… Vedremo come va la prossima volta.
Il mio pensiero/desiderio di base del mio lavoro e anche per la politica sarebbe di agire pèr e non sempre reagire contro.
Un saluto dal cuore a tutti e mi scuso per la lunghezza gli errori di lingua. Non voglio chiedere nessuno di correggere. Parlo e scrivo l’Italiano, ma non sarà mai la mia lingua madre, per quanto mi piacerebbe essere perfetto, faccio degli errori.
Un abbraccio a tutti
Annet Henneman
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